Arianna (opera prima)

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Arianna

Arianna

titolo originale:

Arianna

regia di:

fotografia:

montaggio:

scenografia:

costumi:

Zazie Gnecchi Ruscone

vendite estere:

paese:

Italia

anno:

2015

durata:

84'

formato:

colore

uscito il:

24/09/2015

premi e festival:

Arianna ha diciannove anni ma ancora non ha avuto il suo primo ciclo mestruale. Gli ormoni che il suo ginecologo le ha prescritto non sembrano avere effetto sul suo sviluppo, a parte un leggero ingrossamento del seno che però le provoca fastidio.
All'inizio dell'estate, i suoi genitori decidono di riprendere possesso del casale sul lago di Bolsena dove Arianna era cresciuta fino all'età di tre anni e in cui non era ancora tornata. Durante la permanenza nella casa, antiche memorie cominciano a riaffiorare, tanto che Arianna decide di rimanere anche quando i genitori devono rientrare in città. I pomeriggi passano lenti e silenziosi, mentre Arianna comincia a indagare sul proprio corpo e sul proprio passato; l'incontro con la giovane cugina Celeste - così diversa e femminile rispetto a lei - e la perdita della verginità con un ragazzo della sua età, spingono Arianna a confrontarsi definitivamente con la vera natura della propria sessualità.

NOTE DI REGIA:
Quando avevo dieci anni, ricordo di essermi spesso svegliato da un sogno ricorrente che mi lasciava ogni volta confuso: sognavo di essere una donna molto più grande di me, di trenta o trentacinque anni, e di camminare in giro per la città di notte, per le piazze e le vie del centro di Roma. Mi sono sempre chiesto che significato avesse per me questo sogno, perché un bambino della mia età sognasse di essere una donna. Uno dei miei migliori amici mi ci ha fatto riflettere, molti anni più tardi. Secondo lui era come se la domanda ontologica fondamentale che tutti ci poniamo, presto o tardi nella vita, sul senso della nostra esistenza, della nostra presenza su questo mondo, aveva preso in me un carattere per così dire erotico, aprendo una domanda sull’identità che mi sarebbe rimasta dentro per molto tempo. Quando andai a vivere in America, per ragioni di lavoro, decisi di investigare di più questo tema e mi appassionai alle vicende di alcuni intersessuali che avevano per la prima volta cominciato a far sentire la propria voce. Li seguii per alcuni mesi poi abbandonai il progetto con la volontà di trasformarlo in un vero e proprio film. Mi ci sono voluti anni prima di riuscire a mettere insieme una storia e Arianna è il risultato di questo lungo percorso.
Naturalmente, ermafroditismo e androginia sono temi che la letteratura ha esplorato e descritto a più riprese, suscitando, sin dall’antichità, profonda curiosità e interesse: ne parla già Omero nell’Odissea, Platone nel Simposio, Ovidio nelle Metamorfosi, Sofocle nell’Antigone, Virginia Woolf in Orlando, Tahar Ben Jelloun in quello splendido libro che è Creatura di Sabbia, e Jeffrey Eugenides in Middlesex. Anche il cinema si è interessato al tema, con il bel film dell’argentina Lucia Puenzo, XXY (2007). Insomma, si tratta di un “luogo” che si potrebbe persino definire “classico” e che tuttavia ancora conserva intere aree da esplorare.
Volendo estendere la riflessione, Arianna è un film che s’interroga sul rapporto tra potere e anormalità e sulle conseguenze del loro conflitto e che nel porsi questa questione, pone anche una domanda sul cinema: “Come può il cinema oggi essere un cinema politico senza dover affrontare un tema esplicitamente tale?”. O meglio, rievocando un’amichevole provocazione di un grande maestro della luce, innamorato del cinema italiano, come Darius Khondji: “Perché in Italia non si fanno più film politici?”.
Credo che solo nelle micro storie, nella relazione tra sistema sociale e individuo, nella violenza nascosta, edulcorata dalla democrazia, dell’ovvietà e della trasparenza lo si possa fare. Solo in piccolo, nell’apparente sconfitta del privato che mette in crisi (ancora di più quando è portatore di anormalità), suo malgrado, lo spaventato e ormai immune “sistema di poteri” lo si può fare. Lo dico, per inciso, perché credo che il sistema democratico-medico, per esempio, abbia molto affinato le sue armi, al contrario di quanto si pensi. La violenza esplicita della chiesa del XV secolo contro le mostruosità (fisiche e morali) era meno grave del sistema normativo attuale. Creava un deterrente forte a cui ci si poteva sottrarre più facilmente. Oggi, per un “ermafrodito”, un intersessuale, è molto più complesso sottrarsi alla prassi di correzione medica perché questa, intelligentemente, non si pone affatto come prassi violenta. In questo senso, in un processo inconsapevole, il potere si è fatto più scaltro.
In Arianna questo scontro tra anormale e sistema si concentra intorno alle figure della protagonista Arianna (operata inconsapevolmente da piccola per essere normalizzata e resa femmina) e dei familiari, soprattutto nella figura del padre Marcello, portatore, in buona fede, di un sapere che per non essere messo a repentaglio è costretto a farsi violento persino nei confronti del suo proprio sangue. L’operazione-evirazione di Arianna è il precipitato di questa violenza. Di riflesso e proprio a causa di questa operazione, il rapporto con il “fidanzato” Martino si fa problematico. L’anormalità di Arianna impedisce il compiersi di un rapporto eterosessuale normale (i dolori costanti durante l’amplesso). Contemporaneamente, il rinnovato incontro con Celeste, giovane cugina di Arianna che al contrario di lei è diventata donna nel giro di un anno, lasciandola indietro nel fisico e nelle esperienze sessuali, mette Arianna in un dedalo di dubbi esistenziali che la porteranno inevitabilmente a reagire.
Arianna, allora, è un film che ci riguarda. Perché, mettendo in scena il tema dell’ermafroditismo, mostra il limite che il potere esercita, sempre e comunque, nei confronti di chi, consapevolmente o meno, lo minaccia. È un film che ci riguarda perché mostra come l’ordine e il senso che diamo costantemente al mondo e a noi stessi per poter sopravvivere sia solo un sistema di difesa per non guardare a quella sovrabbondanza di senso che il mondo e noi stessi siamo: per sottrarci alla paura di non avere più gli strumenti per interpretarci, o di vedere in faccia la spiazzante fluidità dell’identità o quel surplus di valore che le cose e il mondo ci offrono e che noi quotidianamente rifiutiamo. L’ermafrodito è l’incarnazione meravigliosa di questa sovrabbondanza e la vittima predestinata di ogni rigore. Questo film è la lotta ingaggiata tra l’ermafrodito e il potere. Il film mette in questo senso in scena un’oscenità, ossimoro possibile solo nel mondo contemporaneo.
Ermafrodito, l’osceno per antonomasia, l’incarnazione del Male che determina, suo malgrado, l’impossibilità stessa della famiglia, della società civile e quindi dello Stato, e che per questo il potere ha sempre temuto, almeno da quando esiste un sistema di potere incapace di reintegrare l’oscenità nella vita, anche semplicemente affidandogli un luogo al di là, metafisico, sacro (come succedeva tra i Greci), è ancora temuto in un grado tale da rappresentare una grande minaccia. Portarlo fuori da quella minaccia è per me compito del cinema.